Roberto si ritrovò nel bosco, al tramonto. Stava cercando la strada per uscire dalla selva, ma – inspiegabilmente – doveva essersi allontanato troppo dal sentiero: infatti non c’erano segnali, né marcatori di riferimento del percorso. La luce era rossastra, livida; proiettava ombre inquietanti. Il sole era ormai appoggiato sul crinale dei monti circostanti: entro pochi minuti sarebbe sprofondato e tutto sarebbe diventato ancora più difficile, perché non aveva niente con sé per far luce. Lo rincuorava l’idea che la luna piena sarebbe apparsa in breve tempo ad oriente. Effettivamente la luce cinerea del satellite per un poco impedì che tutto piombasse nella totale oscurità; ciò nonostante Roberto non riuscì a ritrovare la strada. Anzi, la selva si era fatta sempre più fitta e scura. Iniziò a sentire i versi sinistri degli animali notturni: gufi, civette, barbagianni – uno si manifestò diafano come un fantasma a pochi metri di distanza – e gli parve anche di udire il soffio rabbioso di un tasso.
Pochi minuti dopo notò con somma contrarietà che il cielo, visibile dalle radure che incontrava lungo il suo cammino, si era rannuvolato: la luna spariva dietro grossi cumuli e riappariva dopo intervalli di tempo sempre più lunghi; nel frattempo un rombo di tuoni si avvicinava e sui monti iniziava a lampeggiare. Per un po’ i lampi compensarono in qualche modo il calo della luce lunare, ma ben presto arrivò il momento in cui, nel fitto della selva, tutto sprofondò nell’oscurità più totale. Non era possibile proseguire, se non a tastoni: un’impresa pericolosa, era concreto il rischio di precipitare in un fosso o un dirupo.
Roberto si rese conto che quella che poco prima gli era sembrata solo una sensazione ora si stava rivelando una cosa reale: l’ululato dei lupi, prima lontano e poi sempre più vicino. Gli pareva anche di vedere occhi ferini brillare nell’oscurità, mentre lo osservavano; eppure doveva essere per forza una proiezione della sua mente, perché gli occhi degli animali non brillano di luce propria e tutt’intorno era buio pesto. Eppure in certi momenti si sentiva braccato come se avesse il fiato delle fiere sul collo.
Il suo piede urtò qualcosa di duro. Si inginocchiò per tastare con le mani e si rese conto che doveva essere un oggetto di pietra o di mattoni: aveva una forma regolare, squadrata, doveva essere un manufatto umano. Aveva forse raggiunto un rifugio, una baracca di boscaioli, qualcosa che avrebbe potuto offrirgli un riparo? Provò ad allontanarsi un poco, per trovare conferma: alla ricerca di un muro, di una porta. Non trovò niente. Non sapeva di quanti metri si fosse allontanato dalla pietra, che ora gli pareva un irrinunciabile punto di riferimento, uno scoglio isolato in mezzo ad un mare tempestoso. Si era imbarcato su una zattera senza bussola, rinunciando a quel poco che aveva solo per farsi inghiottire dal nulla? Sperò ardentemente di ritrovarla; dopo attimi interminabili la sentì di nuovo sotto i polpastrelli. In un primo momento ne fu rassicurato, ma poi comprese quanto fosse illusoria quella sensazione: qualsiasi cosa fosse non poteva dargli riparo né dalla pioggia, sempre più minacciata dai tuoni, né dall’assalto di qualche belva feroce. Era solo un punto di riferimento in mezzo al buio.
Non aveva senso tentare di proseguire, sarebbe stato meglio attendere la mattina successiva. Sentiva le belve ancora tutt’intorno, ma a giudicare dall’intensità dei loro versi pareva che non si stessero avvicinando ulteriormente. Chissà, pensò tra sé: forse era veramente vicino ad un vecchio rifugio e la percezione di un insediamento umano, pur disabitato, teneva i lupi lontani. Si sentì improvvisamente molto stanco e si rannicchiò per terra, in posizione fetale, appoggiandosi al manufatto. Iniziò a pregare e, pochi minuti dopo, si addormentò a metà di un rosario. Per tutta la notte sognò di essere sveglio, in quel luogo sperduto e buio, e di continuare a sentire gli ululati intorno a sé; non si rendeva conto se sognava senza interruzioni, o se di tanto in tanto si svegliava e udiva veramente quei versi inquietanti. Inoltre aveva la sensazione che ci fossero altre presenze intorno a lui, che stavano montando una specie di guardia; mentre altre stavano ingaggiando un combattimento.
Tratto da: “Jacques Messadié gioca a sciarada”