Santa Caterina da Siena

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

A voi, dilettissima e carissima madre e suora, Madonna, e a te, figliuola e suora, Niccolosa, io Caterina, inutile serva di Gesù Cristo e vostra, scrivo, e voglio fare a voi l’offizio che fa il servo al signore; perocchè sempre porta e reca. Così io voglio sempre portare voi nel cospetto del dolcissimo Salvatore; e così portando, per la ineffabile carità sua impetreremo grazia di fare l’altro atto del servo, si è di recare, cioè di ritornare in giuso: e così verremo nella grazia del cognoscimento di noi e di Dio. Perocchè non mi pare di poter avere virtù nella plenitudine della Grazia senza l’abitazione della cella del cuore e dell’anima vostra, nel quale luogo acquisteremo il tesoro, che c’è vita, cioè l’abisso santo del cognoscimento di Dio e di sè. Dal quale santo cognoscimento, suore carissime, procede quello santissimo odio che ci fa unire in quella somma ed eterna e prima verità; cognoscendo noi essere somma bugia, e operatori di quella cosa che non è. E così odiando, grideremo con voce di cuore, manifestando la sua bontà: «Tu solo se’ Colui che se’ buono. Tu se’ quello mare pacifico, onde escono tutte le cose che hanno essere». Ma quella cosa che non è, non è in lui; cioè il peccato. Così la somma Virtù a una serva sua inutile: «Io voglio che tu sia amatrice di tutte quante le cose; perocchè sono tutte buone e perfette, e sono degne d’essere amate; e tutte sono fatte da me che sono somma bontà; eccetto che il peccato. Questo non è in me: perocchè, se fosse in me, dilettissima mia figliuola, sarebbe degno d’essere amato». Oh amore inestimabile! però Vuoli te che noi ci odiamo per le perverse nostre volontadi, onde procede questo, cioè il peccato che non è in te. Dunque, madre e suore dilettissime in Cristo Gesù, corriamo, corriamo, corriamo, morte, per la via della virtù. E se mi diceste che voci diamo; – Gridiamo con l’Apostolo per la nostra perversa volontà. E che dice lo innamorato di Paolo? «Mortificate, dice, le membra del corpo vostro». Ma non dice così della volontà; ma vuole che ella sia morta e non mortificata. O dolcissimo e dilettissimo amore, io non ci so vedere altro remedio, se non quello coltello che tu avesti, dolcissimo Amore, nel cuore e nell’anima tua: ciò fu l’odio che avesti al peccato, e l’amore che avesti all’onore del Padre e alla nostra salute. Oh amore dolcissimo, questo fu quello coltello che trapassò il cuore e l’anima della Madre. Il Figliuolo era percosso nel corpo, e la madre similmente; Perocchè quella carne era di lei. Ragionevole cosa era che, come cosa sua, ella si dolesse, perocchè egli avea tratto di lei quella carne immacolata. Io m’avveggo, o fuoco di carità, ch’egli ci ha un’altra unione: egli ha la forma della carne, ed ella, come cera calda, ha ricevuta l’impronta del desiderio e dell’amore della nostra salute dal suggello e del suggello dello Spirito santo, per mezzo del quale suggello è incarnato quello Verbo eterno divino. Ella dunque, come arbore di misericordia, riceve in sè l’anima consumata del Figliuolo, la quale anima è vulnerata e ferita dalla volontà del Padre; ed ella, come arbore che ha in sè lo innesto, è vulnerata col coltello dell’odio e dell’amore. Or è tanto multiplicato l’odio e l’amore nella Madre e nel Figliuolo, che ‘l Figliuolo corre alla morte per lo grande amore ch’egli ha di darci vita; e tanta è la fame e il grande desiderio della santa obedienza del Padre, che egli ha perduto l’amore proprio di sè, e corre alla croce. Questo medesimo fa quella dolcissima e carissima Madre; perocchè volontariamente perde l’amore del Figliuolo: che non tanto che ella faccia come madre, che ‘l ritragga della morte, ma ella si vuole fare scala e vuole che moia. Ma non è grande fatto, perocchè ella era vulnerata dalla saetta dell’amore della nostra salute.

O carissime suore e figliuole e tutte quante in Cristo Gesù, se per infino a qui non fussemo arse nel fuoco del santo desiderio della madre e del figliuolo; non si contengano più gli ostinati cuori nostri. Di questo vi prego da parte di Cristo crocifisso; che questa pietra si dissolva con l’abondanzia di sangue caldissimo del Figliuolo di Dio; il quale è di tanta caldezza che ogni durizia e freddezza di cuore debbe dissolvere. E in che ci fa dissolvere? Solamente in quello che detto abbiamo; cioè, che ci fa dissolvere nell’odio e nell’amore. E questo fa lo Spirito santo quando viene nell’anima. Adunque io vi comando e vi costringo che voi dimostriate di volere in voi questo coltello. E se mi dimandaste: «in che il potiamo dimostrare?» rispondovi: in due cose voglio che ‘l dimostriate nel cospetto di Dio. Ciò è che io voglio che voi non vogliate tempo a vostro modo, ma a modo di Colui che è: e così sarete spogliate della vostra volontà e vestite della sua. E perché mi scriveste del desiderio che avete del mio venire a voi, voglìo che questo si mitighi col giogo soave del Figliuolo di Dio. E così riceverete con riverenzia questo tempo e ogni altro tempo, quantunque malagevole si fosse, pensando che non può essere altro che ‘l nostro bene. E con riverenzia dunque riceviamo ogni tempo.

L’altra cosa con la quale dimostrerete di volere in voi il sopraddetto coltello, si è, che voi andiate col giogo della santa obedienza. E voi singolarmente, madonna, vogliate essere obbediente a Dio in portare la fadiga ch’egli vi ha imposta, cioè d’avere a governare le pecorelle sue. E non vi paia malagevole se molte volte vi vedete per gli impacci dare fadiga al prossimo per onore di Dio, sconsolata; perocchè questo veggo che facevano i discepoli santi, i quali spregiavano ogni consolazione spirituale e temporale. Oh quanta consolazione avrebbero avuta di ritrovarsi con la madre della pace del Figliuolo di Dio, e l’uno con l’altro! E nondimeno, vestiti del vestimento nuziale del maestro, essi si danno a ogni fadiga e obbrobrio e morte per onore di Dio e per la salute del prossimo. E così l’uno separato dall’altro, e così spregiando le consolazioni e abbracciando le pene, ebbero vita eterna. Or così voglio che facciate voi. E se mi diceste: «Io non vorrei essere occupata nelle cose temporali»; io vi rispondo, che tanto sono temporali, quanto noi le facciamo. E già vi è detto che ogni cosa procede dalla somma Bontà; dunque ogni cosa è buona e perfetta. Non voglio dunque che sotto il colore delle cose temporali schifiate la fadiga; ma voglio che sollicitamente e con occhio drizzato secondo Dio, siate sollecita; singolarmente siate sollecita dell’anime loro. Chè, come dice santo Bernardo, la carità, se ella ti lusinga, non t’inganna; se ella ti corregge, non t’odia. Adunque virilmente vi portate con asprezze e con lusinghe, secondo che bisogna nello stato nostro. E non siate negligente a correggere i difetti; ma, o piccoli o grandi che siano, fate che siano puniti secondo che la persona è atta a ricevere. Onde chi fusse atto a portare dieci libbre, non ne gli ponete venti; ma tollete quello che potete avere. E loro prego da parte di Colui che fu fatto portatore d’ogni nostra miseria, che s’inchinino per la porta stretta della santa obedienzia, acciocchè la superbia della loro volontà non gli rompesse il capo.

E non vi paia, suore carissime, fadigoso della santa reprensione. Oh se voi sapeste quanto è dura la reprensione di Dio che è fatta all’anima che schifa la reprensione di questa vita! Meglio è dunque che le negligenzie e l’ignoranzie nostre, e il poco amore che abbiamo alla santa obbedienzia, siano punite con le reprensioni fatte nel tempo finito, che ricevere quella dura reprensione nel tempo infinito. Adunque siate obedienti per amore di quello dolcissimo e amatissimo giovane Figliuolo di Dio, che fu obediente infino alla morte. E così avremo il coltello sopraddetto, avendo tagliato per la virtù di Dio il vizio della superbia; e troverenci radicati nella virtù santa della carità, la quale dimostreremo nella virtù della santa obedienzia, la quale obedienzia dimostreremo per la virtù della santa umiltà.

Altro non vi dico, se non che noi facciamo una santa petizione, acciocchè noi potiamo osservare ciò che noi abbiamo detto. Chi è in cammino, ha bisogno di lume, acciocchè non erri il cammino. E io ho trovata di nuovo una luce bellissima, ed è quella dolce vergine Lucia romana, che ci dà lume. Ma a quella dolcissima innamorata Maddalena dimanderemo quello dispiacimento che ella ebbe di sè. Agnese che è agnella di mansuetudine e di umiltà, ci darà umiltà. Sicchè, ecco che Lucia ci dà lume, Maddalena odio e amore, Agnese ci dà l’olio dell’umiltà. E così fornita la navicella dell’anima nostra, anderemo a visitare il luogo santo della beata santa Maria; di quell’innamorata spedaliera che ricevette Cristo uomo e Dio. La quale è ora collocata in casa del Padre Eterno, cioè in quella essenzia di Dio, nella quale essenzia e visione spero per l’abondanzia del sangue di Gesù Cristo, e per i meriti di costoro e di quella dolcissima madre Maria, noi gusteremo e vedremo Cristo a faccia a faccia. Pregovi che siamo solliciti di consumare la vita per lui. Laudato sia il nostro dolce Salvatore. A voi, Madonna, e a te, Niccola, figliuola e suora, io mi raccomando e prego che mi raccomandiate a suor’Augustina e a tutte l’altre, che preghino Dio per me che mi levi dalla via della negligenzia, e corra morta per la via della verità. Altro non vi dico di questa materia. Laudato sia Gesù Cristo Crocifisso. Amen.

Santa Caterina da Siena, dalla Lettera XXX all’Abadessa del Monasterio di Santa Marta da Siena, e a Suora Niccolosa di detto Monasterio (Epistole, tomo I)

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“Santa Caterina ed il Cristo bambino che le porge la corona di spine”, Giovanni Battista Salvi, detto il Sassoferrato (ca 1650) – Collezione Cavallini Sgarbi, Ferrara (WikiArt)